venerdì 9 settembre 2011

Momento revival: la cotognata


Allora, ricordate il discorso sulle nostalgie culinarie degli ultra-cinquantenni? Sì? Bene, perché chi di voi ha circa quest’età può prepararsi alla commozione: in questo post si parla di cotognata!
Nel giardino dei miei, tra le tante cose, ci sono tre cotogni (Cydonia oblonga). Sì, abbiamo tre cotogni. E pensare che c’è un sacco di gente che non l’ha nemmeno vista, una mela cotogna :-D Che poi è un frutto perverso. Mai provato a dargli un morso? Se non avete mai provato continuate così, perché è infido e bastardo: non vi accorgereste comunque del sapore, occupati come sareste a desiderare di darvi fuoco alla bocca per eliminare l’orribile impressione di aver ingoiato un tubetto di bostik. La grande domanda su questo frutto, come mi faceva notare il mio moroso tempo fa, è: chi ha avuto l’idea geniale di cuocere un frutto così immangiabile invece che limitarsi a sterminare tutti i cotogni della Terra? :-DDD
La terribile sensazione che dà in bocca un frutto crudo, come di ghiaino acerbo, deve essere dovuta a un mix di una grossa quantità di sclereidi e un’altrettanta grossa quantità di tannini. Con il valore aggiunto che gli zuccheri ci sono, ma non se ne sente la dolcezza perché presenti sotto forma di polimeri. Insomma, il frutto ideale!
Le sclereidi sono delle cellule particolari, con funzione meccanica di sostegno, e per questo hanno pareti molto spesse e rinforzate. Ma non pensiate che se le siano inventate le cotogne: sono presenti anche nelle pere a cui conferiscono la caratteristica granulosità. Solo che nelle pere sono in quantità umane :-D mentre le cotogne ne sono particolarmente ricche (www.agraria.org). I tannini sono composti polifenoli che nelle piante assolvono alle più svariate funzioni: difesa contro agenti patogeni, difesa contro gli erbivori e protezione da condizioni ambientali ostili. Il problema per noi è che in grosse quantità sono in grado di legare e far precipitare le proteine ed è proprio quello che fanno in bocca con alcune proteine della saliva, dando così una fastidiosa sensazione di lingua allappata (Cobzac et al., 2005). Bleah. Ma niente paura: tutti questi problemi si risolvono con la cottura. Infatti, mentre il calore aumenta le catene glucidiche si rompono liberando i loro monomeri, i tannini si denaturano e infine sospetto che anche le sclereidi si rammolliscano un po’ :-D ma questa è solo una mia idea. Non è invece una mia idea il fatto che sempre durante la cottura si formano particolari composti aromatici volatili che conferiscono a questo frutto il caratteristico profumo di miele (Güldner & Winterhalter, 1991). Et voilà, la cotogna si può consumare!
Mia mamma usa le cotogne per fare un’ottima marmellata, che a me personalmente piace molto di più di quella di mele. Non so come, però, è saltato fuori l’argomento cotognata. Non ricordo come mai, forse si parlava del più e del meno, oppure è venuto fuori quando ho letto “fruttino di cotognata” in un libro di Benni e ho chiesto cosa fosse. Boh. Sta di fatto che i miei si sono persi a raccontare di questi cubetti profumati che mangiavano per merenda da bimbi e a me è venuta voglia di provare a rifarla, questa benedetta cotognata. Ma quando ho manifestato curiosità la mamma ha allargato le braccia: non l’aveva mai fatta!
Che ricetta seguire? Stavolta ho deciso che per un’esperienza così retro consultare l’Artusi sarebbe stato più che appropriato. Detto fatto: numero 623, cotognata. Che sagoma, il Pellegrino. Dà delle indicazioni spassosissime, davvero, anche se pecca un po’ sulla precisione cronometrica... Ouh, Pelly, che ti costava scrivere “bollire per mezz’ora” invece che “bollire fin quando cominciano a screpolare”? Ma glielo perdoniamo volentieri, è così coccolo. L’unica variazione degna di nota che ho apportato al protocollo è stata di ripesare la polpa una volta cotta e calcolare la proporzione di zucchero a questo step, perché mi pareva che altrimenti sarebbe venuta troppo dolce. Per il resto, bene o male siamo lì.


2 kg di mele cotogne
1 kg di zucchero circa
mezza bacca di vaniglia

Tagliare le parti marce delle cotogne e lavare la buccia per eliminarne la peluria. Buttarle così come sono in acqua bollente e lasciarle cuocere per circa 30 minuti. Scolarle, lasciar raffreddare, sbucciare ed eliminare i torsoli. Pesare la polpa rimanente, tagliarla a cubetti e calcolare una proporzione di 3:2 tra polpa e zucchero. Mettere cubetti e zucchero sul fuoco, portare a ebollizione, schiumare e cuocere 2-3 minuti. Frullare tutto con un frullatore a immersione (poffare, sire, perché impiegar lo staccio quando la moderna tecnica ci dà meraviglie come il minipimer? :-D) avendo cura di non lasciare pezzetti di polpa e rimettere sul fuoco assieme alla vaniglia. Cuocere ancora circa 10 minuti, poi eliminare la vaniglia e riversare il composto in una teglia rivestita da carta da forno bagnata e strizzata. Lasciar asciugare la cotognata per 1-2 giorni in un luogo fresco e arieggiato, girarla e far asciugare ancora 2 giorni. Tagliare a cubetti, avvolgerli in carta da forno et voilà!


La prova del nove, come i più sagaci di voi avranno intuito, era l’assaggio dei genitori. E devo dire che l’ho superata, era tutto un fiorire di commenti tipo “è proprio lei” o “ai miei tempi li incartavano uno a uno e si mangiavano come caramelle” (io in realtà li ho sbattuti così com’erano in un tupperware, non avevo gran voglia di incartarli uno a uno!) e così via. Erano anche un po’ commossi, anche se sono sicura che si affretteranno a negare :-D
Ne ho fatta avere un po’ anche alle zie e la zia Silvia mi ha detto che quella della nonna era un po’ più scura e meno dolce, probabilmente la cuoceva di più. La sua ricetta mi sa che è andata persa, ma tutto sommato che importa se si può arrivare quasi allo stesso risultato per, diciamo, convergenza evolutiva? :-D
Il prossimo passo verso la conquista del mondo sarà riuscire ad estrapolare la ricetta del famosissimo coniglio alle olive :-)

Bibliografia:

Cobzac S., Moldovan M., Olah N.K., Boboş L., Surducan E., 2005. Tannin extraction efficiency, from Rubus idaeus, Cydonia oblonga and Rumex acetosa, using different extraction techniques and spectrophotometric quantification. Acta Universitatis Cibiniensis Seria F Chemia, 8(2): 55-59.

Güldner A., Winterhalter P., 1991. Structures of two new ionone glycosides from quince fruit (Cydonia oblonga Mill.). J. Agric. Food Chem., 39: 2142-2146.

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